Relazione di
Umberto Tortorolo e Patrizia Stizzoli
In medicina geriatrica con il termine di sindrome ipocinetica (o immobilità) si definisce una condizione caratterizzata da ridotta od assente autonomia nel movimento, ad insorgenza acuta o cronicamente progressiva.
La sindrome ipocinetica che deriva dalla diminuita attività contrattile della muscolatura, non è una vera malattia ma è spesso la causa di vere e proprie patologie: cardiache, respiratorie, circolatorie e metaboliche.
In ambito geriatrico la sindrome ipocinetica è spesso la conseguenza di una prolungata immobilizzazione a letto, alla quale sono costretti pazienti anziani particolarmente “fragili”. Se non adeguatamente contrastata, essa porta inesorabilmente l’anziano ad uno stato di disabilità ingravescente fino anche alla morte.
Per immobilità si definisce una condizione caratterizzata da una ridotta o assente capacità di compiere movimenti, ad insorgenza acuta o cronicamente progressiva, cui consegue un complesso di alterazioni multisistemiche che nel loro insieme configurano la sindrome da immobilizzazione, la cui espressione clinica varia a seconda del grado di immobilità del paziente e raggiunge il suo apice nel confinamento a letto.
Le principali cause di immobilizzazione nell'anziano comprendono fattori biologici (facilitanti), psicologici e socio-ambientali (aggravanti).
Tra i fattori biologici sono compresi: 1) patologie a carico dell'apparato muscoloscheletrico: artriti, osteoartrosi, osteoporosi, fratture (principalmente a seguito di cadute e a carico del femore), polimialgia reumatica, borsiti e tendiniti (soprattutto a carico del piede). Queste condizioni inducono immobilità provocando dolore, ridotta ampiezza di movimento, debolezza muscolare, decondizionamento; 2) malattie neurologiche: ictus, m. di Parkinson, demenza, neuropatie periferiche, cui conseguono compromissione della funzione motoria da danno centrale, dolore, debolezza ed ipotrofia muscolare, deficit sensoriali (propriocettivi); 3) malattie cardiovascolari: scompenso cardiaco (dispnea da sforzo), coronaropatia (angina da sforzo), arteriopatie obliteranti periferiche (claudicatio intermittens); 4) malattie polmonari: BPCO e sindromi restrittive (dispnea, minore capacità aerobica); 5) altre condizioni: riduzione del visus (cataratta, retinopatie, ecc.), patologie a carico dei piedi (ulcere, calli, onicomicosi), malnutrizione, gravi malattie sistemiche (ad es. neoplasie), effetti collaterali di farmaci (sonnolenza ed atassia indotte da ansiolitici, rigidità muscolare e bradicinesia da neurolettici), comorbidità.
Tra i fattori psicologici ricordiamo la depressione, il timore di cadute e la perdita dell'abitudine al movimento (ad es. per decondizionamento da riposo prolungato a letto dopo malattie acute), condizioni che inducono i pazienti a mettersi più spesso o a stazionare più a lungo tra poltrona e letto.
Lo stato ansioso spesso costringe i pazienti anziani ad una sorta di autoreclusione tra le mura domestiche, per il timore di eventi avversi che potrebbero accadere in conseguenza di uscite non programmate.
La perdita dell’autostima infine potrebbe essere la causa o la conseguenza di ansia e depressione. E’ quindi di fondamentale importanza stimolare gli anziani motivandoli ad uscire autonomamente o in compagnia, facendoli sentire il più possibile utili e importanti per loro stessi ma anche per il mondo che li circonda.
I fattori socio-ambientali, che il più delle volte giocano il ruolo di aggravanti, comprendono innanzitutto l'inadeguatezza del supporto sociale, che può causare solitudine, indigenza e malnutrizione con conseguente impatto negativo sulla funzionalità motoria. L'immobilizzazione forzata a letto, quale si osserva spesso nei reparti ospedalieri per la cura di patologie acute o negli istituti di assistenza nei confronti di anziani con problemi di instabilità, di deficit visivi o di malattie acute, in assenza di programmi idonei di mobilizzazione, da un lato può precipitare una condizione motoria già precaria e dall'altro può essere la causa dello scompenso multisistemico che configura i gradi più estremi della sindrome da immobilizzazione. La presenza di barriere architettoniche (ad es. gradini) e l'assenza di ausili per il movimento (ad es. bastoni o altri tipi di appoggi mobili, calzature apposite, sponde o corrimani appropriatamente posizionati), sia negli istituti di ricovero che in ambiente domestico, possono altresì ostacolare le prestazioni motorie.
Le conseguenze della immobilità prolungata, come già ricordato, riguardano diversi organi ed apparati e pertanto la sindrome da immobilizzazione viene considerata una sindrome multisistemica.
Apparato locomotore: l'immobilizzazione prolungata porta a riduzione della massa (ipotrofia) e della forza muscolare (ipostenia) per decondizionamento, a cui talvolta si associano contratture muscolari. Gli studi sugli effetti dell'immobilizzazione riportano una perdita della forza contrattile nell'ordine dell'1-1,5% per giorno di allettamento, il che, nell'anziano fragile, può significare il superamento della soglia di disabilità anche nel giro di una settimana.
Apparato cardiovascolare: una delle più temibili complicanze dell'allettamento è la trombosi venosa profonda (con conseguente rischio di embolia polmonare), che riconosce nella stasi venosa il momento patogenetico principale: questa da un lato promuove l'aggregazione piastrinica, dall'altro provoca danni intimali con conseguente ridotta produzione locale di fattori antitrombotici (ad es. antitrombina III, prostaciclina).
Apparato respiratorio: Gli effetti dell’immobilizzazione sull’apparato respiratorio si sovrappongono infatti a quelli tipici della senescenza, contribuendo a ridurre la dinamica costo - diaframmatica e la compliance polmonare e ad alterare il rapporto ventilazione/perfusione.
Sistema nervoso e psiche: frequenti sono gli episodi confusionali a patogenesi complessa e non sempre identificabile (ridotta perfusione cerebrale, sofferenza metabolica indotta da sostanze tossiche di origine intestinale, infezioni ecc).
L’immobilizzazione forzata riduce inoltre la possibilità di relazione con il mondo esterno: gli stimoli sensoriali diminuiscono, i processi mentali subiscono un rallentamento e così anche la capacità di orientamento.
Essendo necessaria una continua stimolazione per il normale funzionamento del cervello, la deprivazione sensoriale indotta dall’immobilizzazione può aggravare ed accelerare i fenomeni involutivi cerebrali, favorendo il deterioramento cognitivo.