Ad ogni lesione corrisponde una medicazione adatta, tenendo presente che il suo meccanismo di azione deve corrispondere alle caratteristiche specifiche della ferita. Inoltre si deve anche controllare che la compressa scelta si adatti in modo ottimale alla superficie della ferita. Infatti il suo secreto può venire assorbito solo quando c’è un buon contatto tra la compressa e la ferita. Quindi possiamo affermare che una medicazione per essere veramente efficace deve essere conformabile, flessibile e si deve adattare prontamente a qualsiasi contorno anatomico.
In letteratura sono stati citati circa 2000 diversi trattamenti per le LDD, tanto che alcuni autori affermano che “sulle lesioni si può mettere di tutto, l’importante è non mettere il paziente”. I principi di base del trattamento consistono in: riduzione della compressione, sbrigliamento del tessuto necrotico, detersione del fondo dell’ulcera, medicazione, protezione della cute perilesionale, e prescrizione di eventuali terapie concomitanti.

La lesione va accuratamente detersa ad ogni cambio di medicazione per eliminare detriti e materiale necrotico. Anche nel caso delle soluzioni usate per risciacquare le ferite si deve tener conto della loro compatibilità. E’ stato dimostrato che l’acqua ossigenata ha un potenziale citotossico, cosicché se ne deve ben valutare il rapporto rischi benefici soprattutto per un uso a lungo termine. Sono invece privi di effetti collaterali i risciacqui con soluzione fisiologica e soluzione di Ringer Lattato, che tra l’altro fornisce alle cellule gli elettroliti necessari: sodio potassio e calcio. Secondo le conoscenze attuali ciò favorisce la proliferazione cellulare e quindi la guarigione.
Le linee guida dell’AHCPR sconsigliano in tutti i casi l’uso di disinfettanti per la loro azione citotossico nei confronti del tessuto di granulazione (specie sui fibroblasti) e per l’azione irritante sui capillari neoformati per cui il risultato è un ritardo nella guarigione. In realtà la presenza di germi sulla ferita è costante (colonizzazione) ma è dimostrato che non compromette la guarigione a meno che non vi sia invasione dei tessuti circostanti (infezione) La sola detersione è sufficiente per ridurre la colonizzazione batterica. Un esame colturale della lesione è inutile perché identifica solo i batteri presenti in superficie; l’esame colturale andrebbe fatto su liquido aspirato dalla lesione o su frammenti di tessuto. E’ necessario rifarsi a queste indicazioni anche se l’esperienza comune ci induce ad ammorbidire questa posizione e a consigliare in particolari casi l’uso di disinfettanti nelle ferite infette al 3° - 4° stadio con l’accortezza di usarli sempre per brevi periodi, diluiti e con successivo lavaggio con soluzione di Ringer Lattato. Gli antisettici più usati sono quelli a base di idio-povidone e clorexidina che comunque sono tossici nei confronti dei fibroblasti. Esistono lavori in letteratura che dimostrano che l’argento katadinico micronizzato ha un’azione rilevante nel ridurre la carica batterica. Da evitare l’alcol e il mercurocromo.
La terapia d’elezione per il risanamento del letto della ferita è il debridement, con cui si può allontanare dalla ferita nel modo più veloce, completo, efficace e possibilmente indolore tutto quanto ne blocchi la guarigione: nello specifico il tessuto non più irrorato dal sangue e necrotico che sostiene il processo infiammatorio e che presenta un rischioso focolaio di infezione.
I trattamenti per rimuovere il tessuto necrotico possono essere vari, i più usati sono la toilette chirurgica e lo sbrigliamento autolitico, seguono lo sbrigliamento enzimatico ed in fine quello meccanico. Il debridement chirurgico è particolarmente indicato nel caso di ulcere estese con incrostazioni spesse, che aderiscono saldamente e sono necrotiche ed è urgentemente necessario nella cellulite avanzata e nella sepsi. Questo metodo di sbrigliamento viene attuato dal medico sia in ambito ospedaliero che ambulatoriale. In relazione alle caratteristiche della ferita , si deve decidere per ogni singolo caso se l’asportazione della necrosi vada effettuata in un unico intervento chirurgico in narcosi oppure mediante un debridement sottile e quotidiano. Nelle infezioni clinicamente manifeste è opportuno un intervento a soluzione unica per sottrarre il più velocemente possibile il materiale nutritivo all’infezione.
Se il debridement chirurgico, a causa di situazioni specifiche non dovesse essere possibile, l’alternativa è rappresentata dal trattamento autolitico, per ammorbidire e distaccare la necrosi; occasionalmente si può utilizzare il metodo enzimatico. Entrambi questi metodi possono essere anche indicati in aggiunta al debridement chirurgico per distaccare gli strati necrotici superficiali più sottili che generalmente non si riescono ad eliminare (se non con molta difficoltà) mediante asportazione chirurgica.
Considerando che la toilette chirurgica può essere dolorosa, si raccomanda una adeguata sedazione del dolore con la somministrazione di un analgesico un’ora prima della procedura, scarsamente utili si sono dimostrati gli impacchi con garze imbevute di anestetico e le anestesie locali per infiltrazione. Dopo la preparazione del campo operatorio e la disinfezione della cute il medico esegue un incisione circolare con il bisturi con l’asportazione di un tassello. Si procede quindi con un’esplorazione digitale per rilevare eventuali sacche e liberarle. In questa fase l’iniezione di acqua ossigenata nella ferita permette di individuare tramiti fistolosi e sacche ascessuali a distanza attraverso un reperto palpatorio di enfisema sottocutaneo. Dopo lo scollamento digitale si provvederà con le forbici a punta curva a staccare tutti i tralci rimasti, progredendo con andamento centrifugo. In caso di necrosi multiple o di grandi dimensioni è bene dilazionare in due o tre sedute la toilette con un intervallo di 48 – 72 ore per evitare stress eccessivi al paziente. Tra le sedute si zaffatura della ferita con alginato di calcio.
In alternativa all’asportazione di un tassello, sull’escara si possono confezionare con un bisturi uno o più “cassetti”, sui quali applicare idrogel e quindi coprire la lesione con una placca idrocolloidali come copricassetto da lasciare in sede se possibile 48 –72 ore.
Il trattamento di elezione su di un’escara aperta è la toilette chirurgica, per l’escara necrotica sul fondo della lesione abbinato ad un trattamento autolitico che come già accennato in precedenza consiste nel favorire l’autodigestione grazie all’azione degli enzimi fisiologicamente presenti nei secreti della lesione. Possono essere utili prodotti a base di idrogel che hanno un'azione idratante i tessuti necrotici in associazione a prodotti con spiccate caratteristiche assorbenti quali alginati e idrofibre il tutto coperto da una medicazione secondaria. Questo trattamento è controindicato nelle lesioni infette e molto essudanti.
Anche per lesioni ricoperte da slough il trattamento di elezione è lo sbrigliamento chirurgico accompagnato da medicazione favorente l’autolisi a base di idrocolloidi e assorbenti.
Per principio una ferita fresca ha una forte predisposizione ad infettarsi. Con l’aumentare dell’organizzazione dei meccanismi di difesa diminuisce il pericolo d’infezione di modo che una ferita con un tessuto di granulazione ben vascolarizzato può già opporre agli agenti patogeni una resistenza considerevole. Fin quando una ferita però non è protetta mediante uno strato epiteliale chiuso, permane il rischio di infezione.
E’ ad alto rischio anche il secreto carico di germi che non defluisce, per es. nel caso di ferite profonde e frastagliate. Si forma una camera umida, e questo effetto negativo può eventualmente venire rafforzato da una medicazione non adatta con insufficiente capacità assorbente e scarsa permeabilità al vapore acqueo.
Il trattamento di elezione di una ferita infetta come quella in diapositiva è costituito da un’antibioticoterapia sistemica mirata, possibilmente prescritta a seguito di esame colturale su aspirato della ferita o materiale bioptico con relativo ABG. La terapia antibiotica è quindi di supporto ad una medicazione a base di idrofibra + Ag (Aquacel Ag), che sfrutta le qualità assorbenti dell’idrofibra ed il potere antimicrobico dell’argento. Essendo controindicata la semiocclusione si completa la medicazione con garze sterili.
Indipendentemente dal tipo di lesione e dall’entità della perdita tissutale, la guarigione di ogni ferita procede per fasi che si sovrappongono nei tempi e che non si possono separare una dall’altra. Genericamente si riconoscono tre o quattro fasi di guarigione della ferita; per la rappresentazione fornita dalla diapositiva è stata utilizzata una suddivisione in quattro fasi fondamentali: fase della coagulazione, fase infiammatoria o essudativa per la detersione della ferita, fase proliferativa per la costruzione del tessuto di granulazione per la maturazione, la formazione della cicatrice e l’epitelizzazione.