Relazione di
Ugo Bovone
Una lesione cutanea è costantemente condizionata e caratterizzata dal substrato tessutale dell’organismo di chi ne é affetto. Condizione necessaria e imprescindibile dalla guarigione, sarà quindi quella di prenderci cura della persona nella sua interezza, e cercare di risolvere al più presto la malattia acuta che può affliggerla, o di ottimizzare al massimo le condizioni generali di chi è affetto da malattia cronica. I nostri tessuti sono la sede che può favorire in maggiore o minore misura il danno, ma contemporaneamente in questi risiede la capacità di riparazione, la terapia al danno stesso
(1- Derma Sciences – Science Section (Wound Healing: From the Primordial Oceans to Humans).
Considerate tali problematiche, potremo affermare che al danno tessutale segue costantemente un processo riparativo da questo innescato, e che tale processo si presenta sempre con fasi costanti più o meno protratte nel tempo.
Un processo di riparazione tessutale, di per se sempre uguale, indipendentemente dalla causa iniziale del danno o dalla malattia che lo ha favorito o provocato.
L’evidenza clinica ha dimostrato come le fasi di quest’evoluzione siano notevolmente facilitate e stimolate da un microambiente di lesione umido, protetto, omeotermico ed atraumatico.
Molti tessuti adulti ed organi, specialmente nei mammiferi, hanno perduto le loro potenzialità d’ulteriore sviluppo e differenziazione. Come risultato, una lesione traumatica tessutale o nella struttura di un organo, di solito risulta in un danno permanente a causa dell’esito cicatriziale con deficit di funzione.
Alcuni organismi tuttavia hanno mantenuto la capacità di riorganizzare i propri tessuti per rimpiazzare segmenti del loro corpo perduti o danneggiati. Ciò é particolarmente evidente fra gli invertebrati.
Gli urodeli sono di particolare interesse poiché questi sono vertebrati (es. Salamandra) che hanno saputo mantenere la capacità di rigenerare, dopo la loro amputazione, arti morfologicamente normali per tutto l’arco della loro vita.
L’arto di questi anfibi è simile in complessità e struttura anatomica a quello di altri vertebrati che hanno perduto tali capacità di rigenerazione, come ad esempio l’uomo.
Non è ancora stato chiaramente compreso il perché gli Urodeli abbiano mantenuto quest’inusuale abilità rigenerativa, e l’esatto meccanismo di come avvenga tale processo.(2 - Cell and Developmental Biology online Dr. Steven Scadding, Sandra K. Ackerley)
La risposta al perché tali proprietà si sono completamente esaurite nei vertebrati superiori, può essere ricercata in termini evolutivi.
La selezione naturale non conserva funzioni la cui utilità è dubbia, o che hanno costi superiori ai probabili benefici. Una persona che avesse perso un braccio nel paleolitco sarebbe morta dissanguata entro pochi minuti, e se anche l’emorragia fosse stata controllata, la vittima sarebbe morta di Tetano, Gangrena o altre infezioni. E’ quindi inutile possedere i geni per la ricrescita di un braccio se questi non hanno neppure il tempo per entrare in azione. Per quanto riguarda la perdita di segmenti più distali, per esempio un dito, tale tipo di lesione avrebbe potuto guarire anche nel paleolitico, sorge quindi il perché non rigenerare l’intero segmento anziché guarire solo una ferita.
Questo tipo di rigenerazione fine e distale, non sarebbe stata molto vantaggiosa poiché non avrebbe interferito con la normale capacità di sopravvivenza dell’individuo. Ogni adattamento ha un costo, ed in questo caso poteva essere quello di mantenere un meccanismo poco utile che comportava una diminuita facoltà di controllare crescite dannose.
Un meccanismo che permette la replicazione cellulare aumenta anche il rischio di cancro, è pericoloso concedere a tessuti maturi e specializzati la capacità di riparare le lesioni oltre lo stretto necessario. (3 – Randolph M.,Nesse e George C. Williams – Why We get sick? The New Science of Darwinian Medicine)
Seguendo le recenti acquisizioni apportate dalla biologia molecolare, si può far risalire a circa 3,5 miliardi d’anni fa l’assemblaggio spontaneo dei fosfolipidi e la costituzione di una membrana, grazie alla quale si venne a creare il primo microambiente umido, protetto, atraumatico e stabile nelle sue componenti.
Dal confinamento di una soluzione acquosa, quindi tenuta lontana dall’equilibrio chimico del circostante ambiente, si poterono sviluppare i presupposti biochimici che portarono alla complessa struttura delle nostre cellule.
Tale fase liquida divenne poi partecipe della vita unicellulare, e successivamente dell’aggregazione e cooperazione delle singole unità cellulari, e del costituirsi di nuovi organismi formati da popolazioni di cellule con diverse funzioni specifiche e comunicanti informazioni tra loro.
E’interessante considerare, anche a scopo didattico, il comportamento della fase liquida essudativa, con i criteri della “Biologia evoluzionistica” considerando il danno cutaneo profondo, nella lesione che guarisce per seconda intenzione, per la maggiore evidenza dei fenomeni.
Si può notare come l’ambiente di lesione, durante la fase infiammatoria del processo riparativo, ricapitoli un microambiente simile a quello testimone delle prime fasi evolutive, tornando a creare quell’abbondanza di fase liquida che ha consentito la vita ed il movimento della singola cellula.